CHIESA E AGORAFOBIA

G. K. Chesterton

di Linda Manfredini

 

 

CHIESA E AGORAFOBIA - G. K. Chesterton - di Linda Manfredini

 Qui a Londra vado a Messa nella chiesa St. Joseph and Padarn della Fraternità San Pio X. Qualche domenica fa, dopo la Santa Messa, mi sono fermata alla piccola libreria della chiesa, dove spesso si trovano dei libri usati, scapolari e medagliette. Ogni tanto qualcuno svuota la soffitta e ci porta qualche vecchio libro della nonna. Questa volta, ho trovato un libretto stampato nel 1933, per la solenne benedizione e posa della prima pietra che avviò la costruzione della Cattedrale Cattolica Metropolitana ‘Christ the King’ di Liverpool in Inghilterra. Il progetto era stato pensato per la realizzazione di una grande Cattedrale, altissima e maestosa.

Nel libretto ci sono vari articoli scritti da sacerdoti e letterati dell’epoca, con incluse alcune illustrazioni. Tra tutti gli articoli ce n’è uno molto bello scritto da Chesterton che ho tradotto in italiano per voi. Buona lettura!

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L’innalzamento di una grande cattedrale in una grande città, specialmente in un grande porto (ossia, una città che è anche un ampio cancello del mondo) richiama certe verità che sono curiosamente dimenticate, o talvolta ancor più sorprendentemente contraddette o ribaltate. Prima che noi arriviamo a contare i milioni di sbagli e incomprensioni che separano gli uomini dalla Chiesa cattolica, c’è un comune errore elementare a determinarlo; cosa che ha a che fare con la questione delle dimensioni e della posizione nel mondo della Chiesa cattolica.

Per farla breve, l’uomo che ha paura di entrare in chiesa, comunemente crede che quello che sente sia una sorta di claustrofobia. Di fatto, quello che prova veramente è piuttosto una sorta di agorafobia. Qualche sciocco incidente storico, quasi interamente peculiare del modo particolare in cui il cattolicesimo è sopravvisuto in Inghilterra, ha dato a molti inglesi l’idea singolare che si tratti di una sorta di relazione amorosa clandestina.

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Questi onesti protestanti, come le suore immaginarie di romanzi impossibili, vanno in giro con la paura perpetua di essere “murati”. Per loro, il tipico atto cattolico non è di andare in un grande posto come una chiesa, ma in un piccolo posto come un confessionale. E nel loro incubo fantasioso, il confessionale è visto come una sorta di trappola per uomini, dato che si presenta nella sua apparenza in una sorta di combinazione fra una cassa da morto e una gabbia. La stessa nozione è rafforzata dall’uso della parola “celle”, che nella comunità protestante significa celle carcerarie, e non celle monastiche. Altrettanto richiamate alla mente dalla parola “cripta”, della quale ci deve essere ovviamente qualcosa di criptico.

Questi, e molti altri luoghi comuni della tradizione, hanno preservato in questa nazione la consuetudine di parlarne come se il pericolo di essere un cattolico fosse il pericolo di finire in un buco scuro e profondo. Così come l’idea che la tradizione fosse non solo una leggenda, ma quasi un pretesto.

Ma persino l’uomo che diceva queste cose sapeva nel cuor suo, o almeno aveva una vaga consapevolezza nel profondo della sua mente, che la sua paura era in realtà una paura di qualcosa di più grande di lui e delle sue tradizioni tribali. Che lui stava semplicemente, come a volte si diceva da entrambi i punti di vista, lasciando una chiesa nazionale per una internazionale.

Come ho detto, non fu la claustrofobia, la paura della cripta o della cella, ma l’agorafobia, o paura del luogo, del mercato, degli spazi aperti e degli edifici immensi, a essere di ostacolo al cattolicesimo. Per il molto limitato e individualista tipo d’uomo settario, la paura della Chiesa era anche in parte una paura del mondo. Questo si può vedere nel terrore che alcuni dei conservatori inglesi dei vecchi tempi sentivano verso la cultura cosmopolita dei gesuiti, che appariva loro onestamente una sorta di anarchismo universale. Si può osservare questo anche nella repulsione esagerata ai vari esperimenti, fallimenti e successi del Barocco.

Praticamente, possiamo dire che il non-cattolico dei nostri tempi, di qualsiasi tipo esso sia, debba assolutamente ampliare la sua mente per divenire cattolico. È ora che diventi maggiormente avvezzo, più di quanto non lo sia al presente, alle lunghe vie e ai larghi spazi.  Questo è quello che è realmente intuito, ma non capito, dai puritani quando dicono che la Chiesa è pagana. In effetti, la Chiesa cattolica apre una lunga via, la sola via rimasta, a connetterci con l’antichità pagana. Questo è quanto viene largamente inteso nell’insistere che la Chiesa ingloba ogni sorta di persone dubbie o irrispettose, un’accozzaglia di famiglie di vagabondi, venditori ambulanti e mendicanti, i quali costituiscono la vita del mercato di piazza. Quidquid agunt homines: persino Matthew Arnold ha riconosciuto essere il vero motto della vita pratica della Chiesa Cattolica romana.

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Ora, molto è stato detto dai protestanti, ovviamente, e neanche poco persino dai cattolici, sul pericolo di mostrare – di fronte al mondo – una cerimonia in pompa magna che può facilmente essere chiamata mondana. Indubbiamente, qualche danno fu fatto e qualche malinteso ha avuto origine, quando i papi del rinascimento riempirono Roma con trofei che avrebbero potuto celebrare i trionfi dei cesari, permettendo la maldicenza che il padre dei cristiani avesse usurpato il titolo di Re dei re e dimenticando il suo titolo attuale di Servo dei servi. Ma, prendendo la natura umana nella sua interezza, quella scelta è giustificata, perché è una sorta di proclamazione della profonda verità sopra menzionata: che la Fede appartiene alle altezze e agli spazi aperti, al ciclo del mondo intero. E questo non è quello che i suoi nemici continuano disperatamente a chiamare una cospirazione.

Non ci potrebbe essere un modo migliore di smentire questa suggestione che l’uso continuo negli edifici pubblici di ciò che è grande nella progettazione e ospitale nei segni. L’arte, e specialmente l’architettura, può qui esprimere realtà che sono insieme troppo vaste e troppo inafferrabili per poter essere espresse in parole. La cattedrale San Marco a Venezia è in qualche modo un edificio molto curioso per qualche occhio del nord a cui non sembra proprio una cattedrale, ma una cosa colorata dall’alba al tramonto, in contatto con la fine del mondo, aperta come un porto e piena di poesia popolare come un luogo fatato. Ecco, essa si fa portavoce del primo fatto essenziale del cattolicesimo: che non è una cosa limitata, poiché conosce, a differenza del mondo, le potenzialità creative dell’umanità e sopravviverà alle espressioni temporane e mondane della stessa cultura.

La cristianità è entrata nelle terre del nord stabilendo porti più ricchi in mari più freddi; è stata cambiata e raffreddata per un certo tempo da vecchie eresie; ma lo stesso principio è ancora valido per la sua espansione ed esaltazione, lo stesso espresso nell’espansione ed esaltazione di magnifici edifici, nell’innalzamento di grandi cupole puntando al luogo del loro destino. Oggi un tale edificio è stato innalzato in quello che la fantasia del signor Belloc una volta chiamò un Porto nel Nord; e il suo scopo e le sue dimensioni sarebbero certamente cose inutili, se non ci ricordassero due verità essenziali: prima, che persino nel mondo i confini della Fede si sono allargati; seconda, e molto più importante, che la Fede stessa amplia il mondo, il quale sarebbe ben piccola cosa senza di essa.

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Purtroppo, alla fine, la Cattedrale Cattolica non fu più costruita a causa della guerra. Negli anni che seguirono, vista anche la scarsità di fondi, al posto di questo bellissimo progetto, i moderni prelati ne preferirono un altro per la realizzazione di un edificio di ridotte dimensioni. La cui bruttezza, di per sé, si manifesta chiaramente per la sua piccolezza nella progettazione e l’inospitale ripugnanza nei segni. Insomma, alla fine hanno fatto un “coso!”  A guardarlo, mi pare proprio un covo per massoni dormienti. Infondo, degno loco per il suo vescovo… che par non esser affatto dormiente, data l’approvazione dell’operato di certi medici e giudici prodighi nel “facilitare” la morte dei piccoli innocenti.

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